Con il termine psicostasìa – dal greco ψυχοστασία, “pesatura delle anime” – si intende il particolare momento in cui, immediatamente dopo la morte terrena, l’uomo deve affrontare il giudizio divino.
Come in altre religioni (in particolare quella egizia e in quella islamica), in quella cristiana l’anima del defunto viene pesata, per verificare se i meriti sono sufficienti a salvarla. La sequenza la conosciamo molto bene
Dopo la morte, l’occhio di Dio che tutto vede, giudicherà che il peso dei nostri meriti prevale su quello dei nostri peccati. E conosciamo anche l’esito: inferno o paradiso.
Se in quella egizia, era Osiride che pesava le anime e il dio Thot ne giudicava il destino, nella religione cristiana l’addetto alla pesatura è l’Arcangelo Michele: non a caso, uno dei suoi attributi è proprio la bilancia.
Che l’anima dunque avesse un peso lo si pensava da tempi molto remoti ma, come accennato, tale peso era piuttosto variabile, perché dipendeva dalle azioni meritorie che il defunto aveva tenuto durante la sua vita terrena.
Nel 1907, il medico statunitense Duncan MacDougall, pensò di misurare il peso esatto dell’anima, scoprendo che essa fosse pari a 21 grammi. Il suo esperimento – condotto su sei persone, che vennero da lui pesate al momento della morte – dimostrava secondo il medico che l’anima di ognuno avrebbe lo stesso identico peso: 21 grammi appunto.
Quanto ci fosse di scientifico nell’esperimento del medico americano non sappiamo. Certo è che fu molto contestato dai colleghi della comunità scientifica dell’epoca.
Potremmo allora chiederci: l’anima ha un peso fisso, come sosteneva MacDougall, o variabile, come sostengono alcune religioni, compresa quella cristiana?
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