La produzione delle immaginette religiose ha una lunga storia, che parte dalla seconda metà del XVI secolo. In circa cinque secoli di storia, è stata prodotta una quantità enorme di immaginette, impossibile da determinare. Esaminando gli inventari – quelli ancora reperibili – è possibile avere una piccola idea della produzione dei singoli editori, a partire dai tanti fiamminghi che fra il XVI e il XVIII secolo dominarono il mercato con le proprie incisioni. Purtroppo, gran parte di questi preziosi documenti è andata perduta, ma da quelli che gli studiosi hanno avuto la fortuna di esaminare, abbiamo ricavato alcune preziose informazioni.
Per esempio, sappiamo che moltissime – direi la maggior parte – delle incisioni fiamminghe, fino agli inizi del XVIII secolo, non erano colorate. E si può immaginarne il motivo. La coloritura avveniva a mano e richiedeva l’intervento di veri artisti, chiamati enlumineurs: operazione antieconomica, a meno che l’editore non fosse egli stesso un enlumineur. Le poche immaginette che venivano colorate erano però dei veri e propri capolavori, in quanto il colore era steso, come già detto, da veri artisti. Si pensi, fra tutti, a Michel Cabbaey, incisore, editore, enlumineur e miniaturista
Agli inizi del XVIII secolo, la coloritura cominciò a diffondersi maggiormente, in quanto utilizzata sia per camuffare eventuali difetti di vecchie matrici, sia per rendere le immaginette più accattivanti. Gli editori si rivolgevano a dei veri e propri “ateliers d’enlumineurs”, dove i maestri davano lavoro a numerosi “operai del colore”. Emile H. Van Heurck, grande collezionista e studioso di immaginette devozionali, rileva che presso ogni laboratorio di enlumineur d’images lavoravano in media dai cinque ai dieci apprendisti. Ciò fa pensare che
produrre immaginette fosse un’attività molto lucrosa; il che spiega anche il perché del proliferare di tanti editori/incisori che in oltre due secoli fecero diventare Anversa la capitale mondiale dell’immaginetta devozionale. Osservate questa bellissima incisione su pergamena (in alto a sinistra), firmata Cornelius de Boutd e realizzata nella prima metà del XVIII secolo. Come si può notare la stesura del colore risulta alquanto incerta e approssimativa, con evidenti sbavature che fanno straboccare il colore al di fuori dei tratti.
La coloritura a mano proseguì fino alla metà del XIX secolo e oltre, allorché si passò dalle tecniche incisorie calcografiche alla litografia e, soprattutto, per quanto concerne il colore, alla cromolitografia, la prima forma di stampa colorata. Tuttavia, questa tecnica prevedeva comunque un’intervento accurato da parte di un artista: non tutti erano in grado di realizzare un soggetto sulla pietra litografica o, nel caso della cromolitografia, sulle diverse pietre, per quanti erano i colori.
Quando, nei primi decenni del Novecento, gli editori abbandonarono la cromolitografia per utilizzare l’offset e altre tecniche fotomeccaniche, l’arte della coloritura delle immaginette subì la sua fine definitiva. A eccezione della produzione a pochoir di Giovanni Meschini, che, fra l’altro, realizzò la stupenda serie di santini, oggi ricercatissimi dai collezionisti filiconici.
Le xilografie di Meschini, colorate con la tecnica del pochoir, rappresentano oggi davvero delle perle, sia per la loro rarità, sia perché costituiscono, appunto, l’ultimo esempio artistico che ha riguardato la produzione di immaginette religiose. La produzione di questi santini fu presto abbandonata dal Meschini, a causa della guerra e della crisi economica da essa provocata. Un consiglio: se ne possedete qualcuno, custoditelo gelosamente.
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Stefania Colafranceschi
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