Le immagini che vediamo richiamano alla mente, almeno nel nome, l’antica divinità molto in auge nel periodo medievale, la stessa che era considerata dispensatrice d’eventi favorevoli, che reggeva la cornucopia dell’abbondanza tra le braccia o un timone, perché secondo l’opinione comune, era lei che pilotava la vita degli uomini: la Dea bendata Fortuna, cieca come la fatalità.
Alla cieca fatalità l’uomo d’oggi cerca di opporre la forza della ragione e della fede (per chi la possiede) e il coraggio della volontà. Niente a che spartire con Nostra Signora della Fortuna, se non un nome appunto, e forse delle aspettative: quelle che continua ad avere chi prega con devozione nella certezza/speranza che le sue invocazioni siano accolte. Fortuna sì, ma nel significato della frase del salmo: “Nelle tue mani sono le mie sorti”.
Il simulacro raffigurante Nostra Signora della Fortuna, molto venerata a Genova, in realtà altro non era che la polena di una nave irlandese d’alto borgo. Il termine designa una figura scolpita che decorava la prua delle imbarcazioni nel secolo XVII fino al XIX. La sua origine è antica e nebulosa quanto la navigazione stessa, ma sembra che risalga al 480 a.C. quando, a Salamina, il greco ateniese Licomede sacrificò al dio Hermes la prua della prima nave persiana catturata.
In alcuni casi aveva lo scopo di indicare il nome della nave che la ospitava a persone che non sapevano leggere. Il marinaio considera la propria nave una creatura vivente e la polena ne rappresenta l’anima; ad essa venivano attribuiti poteri soprannaturali e profondo significato mistico. I marinai, infatti, erano convinti che la polena, protesa in avanti a proteggere la nave, li avrebbe difesi dalle tempeste, dalle sciagure naturali, dalle temibili correnti marine ed essi stessi se ne prendevano cura perché pensavano che, se questa scultura fosse stata danneggiata per un qualsiasi motivo, avrebbe portato sfortuna a tutto l’equipaggio.
Superstizione, tradizione e cultura popolare: la polena, nata dall’immaginario fantastico/collettivo della gente di mare, affonda le sue radici nell’antichità, quando la navigazione era soprattutto esercitata per necessità, piuttosto che come semplice passione o passatempo.
Le figure rappresentate erano spesso mostri marini, aquile, personaggi mitologici, guerrieri, che acquisivano il favore della divinità perché incutevano terrore. A queste sculture poco gradevoli si aggiunsero figure femminili e l’aspetto artistico prese decisamente il sopravvento fino a esplodere in sontuose decorazioni barocche. Considerate in seguito un orpello inutile oltre che pericoloso perché rischiavano di mettere a repentaglio la stabilità della nave, le polene divennero prima meno elaborate e poi scomparvero quasi del tutto.
La storia della particolare effigie di Nostra Signora della Fortuna risale al 1636, ed è narrata nella settecentesca storia di Don Lorenzo Zignago e si può ritrovare anche in alcuni documenti coevi.
Una furiosa tempesta per tanti giorni si abbatté nel mare antistante al porto di Genova distruggendo le navi ancorate nei pressi. Dai numerosi rottami che affiorarono dall’acqua dopo che la furia del maltempo aveva fatto scempio di tutto, l’unica cosa che risultò essere rimasta intatta fu la statua di una ma/donna con in braccio un bambino; la stessa che, sotto gli occhi stupiti dei presenti era stata sbalzata dalla violenza delle onde fino alla darsena superando miracolosamente indenne un galeone che ne ostruiva la bocca.
Essa, messa all’asta, fu acquistata da due marinai che in seguito la depositarono nei locali di un magazzino che apparteneva alla famiglia Lomellini, e lì fu dimenticata per moltissimi anni.
Un giorno, una bimba di circa sette anni che abitava in un piano alto di quell’edificio, cadde disgraziatamente da una finestra precipitando nel vuoto ma, miracolosamente restò illesa. La bimba raccontò che una bella signora vestita d’azzurro, era uscita dal magazzino e l’aveva stretta tra le braccia impedendole di schiantarsi al suolo e amorevolmente l’aveva poggiata a terra.
Nessuno si ricordava più della polena che era ormai ricoperta di polvere e ragnatele, tanto che la sua antica forma era ormai irriconoscibile. La gente accorsa s’inginocchiò commossa davanti a quel monco simulacro recuperato dal magazzino e ringraziò colei che da quel momento in poi fu considerata una Madonna miracolosa.
Spolverata, rivestita e completata della parte mancante, la statua/polena fu portata dapprima nella Chiesa medievale di San Vittore e in seguito sull’altare Maggiore della Chiesa di San Carlo in Via Balbi, dove si dice si sia mossa da sola per posarsi sul piedistallo che era stato per lei preparato.
La polena irlandese, ancora oggi venerata sotto il titolo di Madonna della Fortuna (forse perché uscita indenne dalla violenza distruttiva di un fortunale: vento da 103 a 117 km/orari, mare forza dieci con onde altissime) dispensa ancora con il suo sguardo protettivo grazie e fortuna al tavolo da gioco della vita, dove la roulette continua a girare alternando inesorabilmente vittorie e sconfitte, gioie e delusioni, amore e dolore.
Ancora acque infide e avverse, tempeste… nell’attesa di un mare calmo.
Enzo Cavaricci
Storia Interessante, come Carmen ci ha abituati. Al di là della fede o mreno, l’effigie dopo essere stata ritrovata (…) fu rivestita e incoronata. La tal cosa mi ricorda la edificazione di chiese cristiane su ruderi di templi pagani.
Rosalba
Complimenti al dottor Gamba per l’articolo che ho trovato molto interessante. Io colleziono da poco tempo santini e mi collego al suo sito perché trovo notizie sempre utili.Ultimamente ho comprato in un mercatino un blocchetto di immaginette fra le quali c’è anche la madonna della Fortuna quella colorata e davanti c’è scritto Sle che non so che significa.Non avrei mai immaginato che questa statua potesse essere la polena di una nave.La storia è davvero affascinante.
Biagio Gamba
Grazie per i complimenti, che giro all’autrice dell’articolo, Carmen Stillitano. Quanto alla sigla Sle, si tratta del logo della Santa Lega Eucaristica di Milano.
Bruno
Risparmio i complimenti alla bravissima Carmen che riesce sempre ad affascinare con i suoi articoli. Non ricordo di avere mai visto figure di madonne scolpite sulla prua delle navi, ma spesso una sirena oppure un pesce.
Questa novità è molto interessante e grazie a Carmen che ce l’ha descritta così bene.
Rinnovo il mio invito a parlare delle madonne che hanno titoli strani…io ne possiedo alcune.
Buona domenica
Antonio
Fantastica storia raccontata con classe e verve dalla splendida e bravissima autrice. Credo sial’unico caso conosciuto in cui una polena sia diventata madonna e sia salita agli onori degli altari.Davvero interessante!!!