Circa un anno fa, un gruppo di 26 donne, legate sentimentalmente ad altrettanti preti, scrisse una lettera a Papa Francesco nella quale le stesse esprimevano tutta la loro frustrazione (per non dire altro) nel vivere un rapporto fatto di amore clandestino.
L’intento era quello di denunciare un fatto che, pur conosciuto come fenomeno da sempre, non è ancora accettato dalla Chiesa che, anche con lo straordinario Bergoglio, non è propensa a risolvere il problema concedendo la possibilità ai preti di sposarsi.
Com’è noto, i preti – a differenza dei religiosi – non fanno voto di castità, ma fanno la promessa di celibato. Significa che, per gli stessi, avere rapporti sessuali è un grave peccato, che è, tuttavia, superabile con il pentimento in confessione. Ciò che non è risolvibile è invece la loro condizione di celibato: se sei prete non puoi sposarti (punto).
Eppure c’è stato un tempo in cui il concubinato e il matrimonio dei sacerdoti era, se non accettato del tutto, almeno tollerato. Non era raro – parliamo di un’epoca fra il VII e il XI secolo – che preti e vescovi vivessero con una concubina, con la quale concepivano e allevavano anche dei figli. Con la riforma della Chiesa, venne sancita la condanna definitiva di tale pratica, considerata una vera e propria eresia, definita Nicolaismo, dal nome della setta eretica menzionata nell’Apocalisse, che praticava riti orgiastici.
L’altra eresia, condannata assieme al nicolaismo, fu la Simonia, ovvero l’acquisto di cariche religiose mediante denaro. La definizione viene da Simon Mago, il quale offrì a San Pietro denaro, in cambio dei poteri concessi dallo Spirito Santo.
Fra coloro che più combatterono queste eresie, un santo molto noto, San Pier Damiani, e uno poco conosciuto ai più: San Giovanni Gualberto.
San Giovanni Gualberto visse proprio nell’XI secolo (morì nel 1073) e fu fondatore dell’Ordine dei Benedettini di Vallombrosa. Diventato monaco fu costretto a constatare come la vita del convento fosse tutt’altro che “pura e casta”, in quanto corruzione e dissolutezza la facevano da padroni. La scoperta che i monaci si dedicavano a rapporti carnali e che l’Abate Oberto aveva acquistato il suo titolo con denaro sonante, lo disgustò al punto da farlo allontanare, inducendolo a fondare un ordine suo appunto.
Si spiega così il motivo per cui San Giovanni Gualberto venga rappresentato come possiamo osservare nel santino proposto. Il Santo è in piedi, con il viso rivolto al Cielo, intento a parlare con Dio. Sotto i suoi piedi è raffigurato un drago con due teste, un uomo e una donna, allegorie delle due eresie sopra menzionate: il nicolaismo e la simonia.
Il drago delle due eresie è, infatti, assieme al bastone, l’attributo principale del Santo.
Il santino, dai bordi sagomati e fustellati, è stato stampato – probabilmente da Bertarelli – in cromolitografia, su carta tipo tela, intorno alla fine degli anni 10. Misura cm 6,6 x 11,9.
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angela rotundo
L’articolo molto bello, anche se io sono una di quelle che non condivido il matrimonio per i sacerdoti, nessuno li costringe a prendere i voti, quindi o servono Dio o servono mammona, tutti e due non si possono servire
Demetrio Guzzardi
Nella Chiesa bizantina (CATTOLICA) il vescovo può ordinare sacerdoti UOMINI sposati…, con la sola clausola che non possono poi diventare vescovi…