La Chiesa di Santa Maria degli Angeli è uno dei luoghi sacri più rappresentativi della religiosità popolare vibonese e calabrese. Costruita nel 1666 con annesso Convento dei Francescani Riformati (ora Convitto Nazionale Filangieri) custodisce un Cristo ligneo, molto venerato.
Per antica tradizione, tramandata da generazione in generazione, nei venerdì di marzo d’ogni anno, molti fedeli provenienti anche dalle zone limitrofe, ivi si recano in pellegrinaggio dalle prime luci del mattino fino a sera inoltrata, per partecipare alle celebrazioni eucaristiche che si susseguono a ogni ora e – dopo aver sostato in religioso silenzio davanti a questa rappresentazione scenica – pregare, intonando canti e inni, specchio sonoro di un’arte popolare che non perde mai il suo fascino.
Il prezioso gruppo scultoreo realizzato sullo stile realistico della controriforma e che vediamo raffigurato nei santini, si trova sotto l’abside in una nicchia a forma di tempio dietro l’altare maggiore. Esso fu eseguito nella seconda metà del ‘600 probabilmente da Padre Giovanni da Reggio Calabria dell’ordine dei francescani minori il quale in quest’opera volle rappresentare il tema di Gesù, Agnello mistico, che s’immola per la redenzione degli uomini.
Si racconta che lo stesso Cristo domandò a Padre Giovanni non appena ebbe completato la sua opera: “Duvi mi vidisti, tantu pietusu mi facisti?”. La risposta dell’autore era stata: “Si eu nò ti vidia tantu pietusu nò ti facia”.
Queste parole mi ripeteva mio padre quando da piccola mi portava a visitarlo, come mio nonno aveva fatto con lui, ed io con la mia mano stretta nella sua, restavo incantata davanti a questo Cristo alto due metri, che suscitava in me sentimenti contrastanti. Ricordo che assorbiva così totalmente il mio sguardo che io non riuscivo a distogliere l’attenzione dal quel soggetto che reputavo quasi “vivo” e che appariva ai miei occhi di bimba imponente ed inquietante, tanto che da un momento all’altro sembrava potesse articolare le labbra per dire qualcosa. Sensazioni pure di un candore che è solo dell’infanzia, riemergono in me ogni qualvolta mi pongo davanti a quest’opera che traduce il pensiero artistico francescano alla cui base sta la contemplazione del Crocifisso.
Forte e carico di pathos, Gesù schiodato e seduto sull’altare, si offriva con tutta la drammaticità dell’evento tragico, alla visione dei miei occhi increduli ed estasiati di bimba, come ora continua a mostrarsi ai fedeli, martoriato e grondante di sangue. Aperte erano e sono ancora le sue braccia! Egli era pronto ad accogliere e ad essere accolto, allora… come adesso; il suo volto che portava i segni della sofferenza continua ad emanare una divina dolcezza che rende misteriosi anche i contenuti iconografici di una visione, ora adulta, che spinge inevitabilmente oltre il semplice apprezzamento estetico/emozionale.
Coronano la parte superiore della Croce una schiera di cherubini e serafini mentre tre angeli gli fanno quasi da cornice. Quello in alto sembra volerci indicare Gesù, un altro raccoglie il sangue che sgorga dal suo costato e il terzo ci mostra le sue piaghe sanguinanti, le stesse che si manifestarono anche sul corpo di alcuni santi.
Con Cristo, altri personaggi che hanno condiviso la sua missione: San Giovanni, testimone degli eventi più solenni della sua vita; la Maddalena in ginocchio, nell’atto di raccogliere il sangue che scivola lungo i suoi piedi e che rappresenta il classico prototipo della penitente e quindi del genere umano che grazie al sacrificio di Gesù ha modo di redimersi, ed infine la Madonna, “mamma” che ha accompagnato il figlio dalla nascita fino al sepolcro.
Gli originali di queste tre statue purtroppo sono andate completamente distrutte a causa di un incendio verificatosi nel 1924 e sono state sostituite da copie che, pur nella loro indubbia valenza artistica, risultano essere meno espressive delle precedenti.
Gesù con il suo sacrificio spalanca le porte del tempio di Dio, troppe volte sbarrate dalla nostra indifferenza, sbattute in faccia dalla nostra superficialità o addirittura murate dai nostri limiti e dalla nostra incapacità di cogliere pienamente il suo mistero, o socchiuse dalla nostra difficoltà a ricambiare il suo amore incondizionato in un quotidiano sempre più frenetico, a volte arido, povero di sentimenti veri e per molti aspetti problematico e alienante.
Il linguaggio dell’arte scultorea che arriva fino a noi veicolato dai santini traduce in due dimensioni i segni di quella pietà popolare che nella sua corporeità a tre dimensioni, aiuta a rinnovare, ristabilire e ad imprimere un sigillo nel dialogo tra il genere umano e l’Altissimo.
L’uomo e in special modo il devoto si accosta in un rapporto di comunione – anche attraverso le arti figurative- alla Passione di Cristo e da quest’intreccio fatto di partecipazione, commozione e momenti meditativi di trasporto quasi mistico, si proietta in una quarta dimensione che costituisce quell’oltre (senza un preciso luogo) che esiste dentro/fuori ognuno di noi ma che in tanti – smarriti in un cammino non rischiarato dalla fede- continuano/continuiamo a cercare altrove.
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Bruno
Interessante come tutti i tuoi articoli; una domanda, Carmen: ” Continua ancora la tradizione di recarsi tutti i venerdì di marzo il pellegrinaggio alla chiesa per pregare ed intonare canti davanti al Crocifisso”? Con i tempi che corrono molte di queste tradizioni stanno scomparendo ed è raro ritrovare oggi il tuo stupore di bimba davanti alla maestosità del Cristo in croce.
pasquale
Bellissimo
EnzoC
Interessante narrazione. Peccato per l’originale andato distrutto. Mi rimane, tra l’altro, impressa la battuta in dialetto locale tra il Cristo ligneo e il suo artista: che il nonno della narratrice lo raccontava al padre e questi a lei bambina. Bimba che con sguardo contrastante mirava l’opera con occhi stupiti, restandone estasiata.
angela
Complimenti Carmen come al solito siete sempre molto brava a spiegarci con semplicità e ricchezza di contenuti l’articolo grazie
Federico
Grazie a Carmen per aver condiviso questo suo ricordo. Le tradizioni religiose sono le nostre radici. Molto suggestiva la descrizione di questo crocifisso quasi parlante.Nulla sfugge agli occhi attenti di una poetessa. Complimenti e a presto spero con un’altra bella storia.
Nicolina
Oltre alla perfetta descrizione dell’opera hai perfettamente reso l’idea dei sentimenti suscitati dal crocefisso ogni qual volta si entra in questa chiesa e si volge lo sguardo su di Lui
Celeste
Bellissima descrizione.complimenti