Il 2 febbraio 1833 il poeta Giuseppe Gioacchino Belli si recò nella Basilica di S. Agostino in Campo Marzio a Roma e rimase profondamente scosso dalla grande venerazione del popolo romano per la Vergine del Parto, testimoniata, oltre che dallo straordinario afflusso di fedeli, anche dai numerosi ex voto che ancora oggi vengono donati alla Madonna.
Data la sua ben nota satira anticlericale, non devono stupire i toni piuttosto forti del sonetto che dedicò alla Madonna quel giorno, sonetto che porta il titolo di La Madonna tanta miracolosa:
Oggi, a fforza de gómmiti e de spinte,
ho ppotuto accostamme ar butteghino
de la Madonna de Sant’Agustino,
cuella ch’Iddio je le dà ttutte vinte.
Tra ddu’ spajjère de grazzie dipinte
se ne sta a ssede co Ggesù bbambino,
co li su’ bbravi orloggi ar borzellino,
e ccatene, e sscioccajje, e anelli e ccinte.
De bbrillanti e dde perle, eh ccià l’apparto:
tiè vvezzi, tiè smanijji, e ttiè ccollana:
e dde diademi sce n’ha er terzo e ‘r quarto.
Inzomma, accusì rricca e accusì cciana,
cuella povera Vergine der Parto
nun è ppiù una Madonna: è una puttana.
In un contesto come quello della Roma papalina di inizio Ottocento Belli si schiera con tenacia contro l’uso del popolo di donare monili vari alla Madonna del Parto come segno di riconoscenza di eventuali grazie, tuttavia lo trova caratteristico della sua gente e per questo decide di scriverne, così da rispondere anche alle finalità della sua opera.
Nell’introduzione ai suoi sonetti, infatti, scrive: «Io ho deliberato di lasciare un monumento di quello che oggi è la plebe di Roma. In lei sta certo un tipo di originalità: e la sua lingua, i suoi concetti, l’indole, il costume, gli usi, le pratiche, i lumi, la credenza, i pregiudizii, le superstizioni, tuttociò insomma che la riguarda, ritiene una impronta che assai per avventura si distingue da qualunque altro carattere del popolo» (G.G. Belli, Er Papa. Sonetti scelti. Milano 2003, p. 5).
C’è da dire, però, che non sempre il simulacro della Vergine del Parto ha avuto tanta venerazione. La statua, opera del Sansovino, fu realizzata negli anni 1516-1521 con stile classicheggiante, e proprio perché richiamava tale stile fu ritenuta una statua antica raffigurante Agrippina con in braccio il figlio Nerone. Col tempo, però, tale leggenda andò via via scomparendo, tant’è che già negli anni tra Settecento e Ottocento sono attestate numerose forme di venerazione, in quanto il popolo romano vi si affidava, come abbiamo detto, per richiedere delle grazie a quella che prese poi il nome di Madonna del Parto.
Il culto, già considerevole, divenne ancora maggiore quando, nel 1822, papa Pio VII concesse 200 giorni d’indulgenza a chiunque avesse baciato il piede della Madonna. L’affluenza fu tanta che fu necessario dopo un po’ sostituire il piede di marmo, ormai liso, con uno d’argento.
Ancora oggi un’iscrizione sul basamento della statua ricorda l’atto di papa Pio VII, ma possiamo leggerlo anche sul retro di questa immaginetta che vi propongo, un’incisione della metà del XIX secolo. (vedi immagine sopra a sinistra)
Singolare e degna di maggiore attenzione, però, è l’iscrizione posta sul fondo: «Virgo ante partum. Virgo in partu. Virgo post partum». Interessante perché mi permette di accennare, brevemente, ad un fenomeno che ho riscontrato tra amici e conoscenti.
Molti tra i fedeli cristiani confondono ancora il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria con quello della sua verginità perpetua. Il primo fu promulgato da papa Pio IX nel 1854, il secondo invece è ben più antico. Esso sancisce il concepimento verginale di Gesù da parte di Maria e non che la Vergine Maria sia stata preservata immune dal peccato originale fin dal suo concepimento. Ed è ben più antico: fu proclamato il 2 giugno del 553 nel Secondo Concilio di Costantinopoli e lo si può leggere nell’Enchiridion Symbolorum al punto 422, dove in effetti compare l’espressione greca ἀειπάρθενος, (aeipàrthenos, “sempre vergine”), secondo la quale Maria è rimasta per l’appunto vergine prima, durante e dopo la nascita di Gesù.
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