Capita spesso a noi collezionisti filiconici di trovarci fra le mani un’immaginetta cosiddetta anonima.
La definizione – come molti sanno – sta a indicare la mancanza totale di firma, sia sul recto che sul verso, dell’editore, oppure dell’incisore, del disegnatore e/o dell’inventore, nel caso si tratti di incisioni calcografiche o di litografie.
Perché un editore non firmava un’immaginetta? A volte la mancanza della firma dipendeva da semplice dimenticanza, molto più spesso invece era dovuta al fatto che “quelle” immaginette erano destinate ad altre case editrici, che provvedevano poi ad apporre il nome della propria ditta.
Diverso il caso delle incisioni, per le quali l’assenza della firma era un modo per commercializzare un’immaginetta prodotta da un altro: ancora oggi, è possibile trovare incisioni fiamminghe realizzate dai Galle, ma che recano stampato sopra, per esempio, il nome di Bunel. Per non dire di casi di vero plagio, che all’epoca non era certo un grave reato.
Anche a proposito di produzioni più recenti, è facile imbattersi in santini “anonimi”, in tutto identici a quelli firmati da un determinato editore, che magari conosciamo molto bene.
È il caso di molte immaginette stampate dalla Santa Lega Eucaristica di Milano oppure di molti santini della Egim.
Come ci si regola in questi casi? Cioè, come considerare queste immaginette: le inseriamo o no in quella determinata serie? Le inseriamo o no nel raccoglitore che abbiamo dedicato a quel determinato editore?
Personalmente propendo per l’esclusione. Il marchio, la denominazione, il nome e il numero di serie sono elementi identificativi della casa editrice e naturalmente della serie. Ciò non toglie che, spesso, l’attribuzione a un dato editore è molto facile, per le caratteristiche tipiche, e dunque inconfondibili, che il pezzo presenta. Oltre naturalmente alla conoscenza della storia che abbiamo di quell’immaginetta e/o della serie di appartenenza.
Osserviamo, per esempio, l’incisione sopra a sinistra: pur non recando alcuna firma, molti di voi l’avranno già attribuita a Joseph Koppe. Attribuzione giusta, documentata da molte altre identiche che presentano la firma dell’incisore praghese.
La questione è più complessa quando ci troviamo dinanzi a un santino del Novecento.
Va detto infatti che, gran parte della produzione filiconica che va dagli inizi del secolo fino agli anni 60 e oltre, in assenza di espliciti riferimenti, è di difficile attribuzione.
La spiegazione si fonda sul fatto che la maggior parte degli editori attivi soprattutto nella prima metà del Novecento non aveva un proprio stabilimento, per cui si rivolgeva ai grossi stabilimenti di produzione, come Bertarelli di Milano o l‘Istituto Italiano Arti Grafiche di Bergamo, per indicare due dei più grandi.
Ciò impedisce di attribuire con estrema certezza una determinata immaginetta a uno specifico editore, per cui è preferibile escludere il pezzo piuttosto che inserirlo senza avere la certezza che sia stato pubblicato proprio da “quella” casa editrice.
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rotundo angela
Molto interessante . Io ho molti santini delle mie località calabresi anonimi come li chiama lei ma mi dispiacerebbe molto escluderli perchè sono molto belli.
Agostino
Grazie Biagio, per l’ulteriore lettura e conoscenza – studio della Filiconia, che ci versi
quasi quotidianamente. Ad una attenta lettura del post, penso che abbia intuito bene, in questo caso ad escludere i due Santini dall’attribuzione della stessa Casa Editrice. Infatti, soprattutto dalle foto fronte e retro dei Santini, si nota abbastanza chiaramente che sono diversi, sia nel formato che nella scrittura. Quindi, se in uno vi è apposta la firma della Casa Editrice con il relativo Logo e numero, è segno che è identificato. Viceversa, nell’altro non vi è nulla, quindi appartiene ad un’altra Casa Editrice, che per ragioni inspiegabili, non ha voluto identificarlo.