C’è stato un tempo in cui possedere una reliquia equivaleva a godere del potere che da essa direttamente derivava. Ciò non soltanto per il suo intriseco valore sacro, dovuto al fatto che si trattava del pezzo di un corpo santo, ma anche per il valore commerciale.
Inizialmente soltanto i nobili e i ricchi potevano permettersi di acquistare una reliquia rivolgendosi a dei “mercanti di reliquie” che – nella migliore delle ipotesi – erano ladri professionisti, mentre in altri casi si trattava di furbi e imbroglioni, che confezionavano ad hoc le reliquie che rifilavano ai malcapitati creduloni.
Fra false reliquie di santi veri e “vere” reliquie di santi falsi, il commercio si rivelava molto redditizio, tanto più in mancanza di regole precise. Almeno fino al 1215, allorché la Chiesa, nel corso del IV Concilio Lateranense proibì la venerazione di reliquie che fossero prive di certificato di autenticità. Così il capitolo LXII: “Le reliquie dei santi devono essere esposte in un reliquiario, le nuove non possono essere venerate senza autorizzazione della chiesa Romana”. Ovviamente, servì a poco.
Nel 1543 uno dei più importanti esponenti della Riforma Protestante, Giovanni Calvino scrisse un “Trattato sulle reliquie“, nel quale condannava questa forma di devozione, oltre che il commercio di esse. Anche quello non servì a molto.
Possedere una reliquia, soprattutto se di prima classe, equivaleva ad avere una protezione diretta del santo molto forte, più forte di qualunque altro strumento religioso (o magico?), più forte di qualunque preghiera. Se poi si aveva la fortuna di possedere un pezzo del corpo, oggetto specifico del martirio (nel caso dei santi martiri), allora il potere protettivo della reliquia raggiungeva il suo massimo.
Ma ammesso che quanto detto sia vero, il problema è sempre quello dell’autenticità della reliquia. Gli stessi certificati di autenticità – laddove esistano – non è detto che certifichino realmente che quel pezzettino di osso, per esempio, sia appartenuto veramente al santo cui è attribuito.
Se la questione non si pone tanto per i santi di cui è storicamente accertata l’esistenza – pensiamo a San Francesco di Assisi oppure, in tempi più recenti, a San Pio da Pietrelcina – non altrettanto si può dire per i santi martiri, dei quali conosciamo le gesta attraverso i racconti agiografici.
Non solo. È noto che di alcuni santi, esistono in circolazione così tante reliquie il cui numero di per sé esclude la loro autenticità.
Per fare un esempio, consideriamo i denti di Santa Apollonia martire, protettrice dei medici dentisti, degli odontotecnici e igienisti dentali e invocata dai devoti contro il mal di denti.
Secondo il racconto di Eusebio di Cesarea, la santa dopo avere aiutato i cristiani perseguitati da Decio, fu catturata e torturata: con le tenaglie le furono cavati tutti i denti. E quando i suoi carnefici minacciarono di bruciarla viva nel fuoco se non avesse rinnegato la fede cristiana, ella tolse loro il gusto di ucciderla, gettandosi spontaneamente nelle fiamme.
Non si sa come, qualcuno raccolse e conservò i denti della Santa.
Volendo dare per certo che, al momento della tortura, la giovane Apollonia fosse in possesso di tutti e 32 i suoi denti, non sarebbero potute esistere più di 32 reliquie, magari moltiplicate per tre, se rese in ulteriori pezzi. Dunque non più di cento reliquie ex dentibus.
Sennonché i denti-reliquia di Santa Apollonia risultavano molti di più, al punto che verso la fine del Settecento, Papa Pio VI ordinò di reperire tutti i denti attribuiti alla Santa. Alla fine fu riempito uno scrigno intero contenente ben tre chili di denti presunti appartenenti alla giovane martire, che il Pontefice decise di buttare nelle acque del Tevere.
Il povero Pio VI però non aveva considerato un particolare, ovvero che i denti raccolti e dispersi nel fiume erano “soltanto” quelli reperiti in Italia. Sembra infatti che ancora oggi nella sola Francia si trovino conservati altri cinquecento denti attribuiti alla Santa. E chissà quanti altri in quali altri luoghi.
A questo punto, devo rivelarvi una scoperta eccezionale. Il piccolo reliquiario pendente che potete osservare nella foto contiene uno dei denti “italiani” attribuiti a Santa Apollonia, sfuggito evidentemente alla raccolta ordinata da Pio VI.
Il reliquiario in argento è di forma ovale e misura cm 3,5 x 4 circa. L’epoca? Più o meno quella di Pio VI.
Ebbene, il proprietario mi ha raccontato di averlo posseduto per oltre trent’anni, gli ultimi venticinque dei quali vissuti portando una dentiera mobile.
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angela
Bellissimo grazie
Mariolina USA
Interessantissimo post. Eloquente, istruttivo, (e sardonico) come sempre.