Condannato ai remi!

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Conosciamo un po’ tutti la pagina storica dell’Inquisizione, il Tribunale cattolico istituito dalla Chiesa per combattere le eresie. È noto che i giudici di questo tribunale ricorsero alle più tremende pene e torture, al fine di far trionfare la “verità cristiana“.

Fra le pene comminate dai Tribunali inquisitoriali a coloro che si macchiavano dei delitti contro la Fede, ve n’era una molto particolare, utilizzata sin dai tempi dei “pagani” romani: la condanna ai remi.

Il condannato, destinato a una nave – di solito una trireme – veniva legato con una catena al proprio remo, per un determinato numero di anni o, nei casi più gravi, per tutta la vita.

Era questa, per esempio, la sorte che toccava ai cosiddetti relapsi, ovvero gli eretici recidivi, che commettevano cioè nuovamente lo stesso delitto/peccato/errore, dopo avere già subito una precedente condanna per lo stesso motivo.

La Santa Inquisizione poteva contare soltanto su alcuni Frati privilegiati. Il privilegio, conferito inizialmente ai soli frati dell’Ordine dei Predicatori (i domenicani), fu successivamente dato anche ai Minori.

Un documento del 25 settembre dell’anno 1794, rilasciato – forse su domanda di un familiare – da un frate domenicano, allora Parroco della Venerabile Chiesa Madre “Santa Maria” di Civitavecchia, afferma – rigorosamente nel nome del Signore –  che “nell’anno del Signore 1793 il giorno 31 Agosto, Domenico… condannato alle Triremi, caduto in mare ha reso l’anima a Dio“.

Fa sorridere leggere la motivazione della morte: “in mare prolapsus“. Il significato proprio del verbo sarebbe “scivolato”. Pensate un po’: un condannato, legato da una catena al remo – assieme ad altri 25 come lui –  scivola (forse per il pavimento della nave troppo bagnato?)  e finisce in mare.

La verità era probabilmente un’altra. A bordo di queste triremi – i galeotti dello Stato Pontificio venivano imbarcati nel porto di Civitavecchia – la disciplina era terrificante. I rematori venivano costantemente bastonati e frustati perché svolgessero il loro lavoro con la migliore sollecitudine. La fama di questi poveracci era tale da indurre lo stesso Pontefice a raccomandare che venisse loro assicurata assistenza medica e spirituale (quanta bontà d’animo!).

Raccontano le cronache che molti condannati preferivano la pena di morte piuttosto che finire su una trireme. Ma spesso il domenicano, inquisitore di turno, mosso a compassione – i maligni direbbero: perché così lo Stato poteva avere a disposizione un rematore gratis (se si esclude le spese per la sbobba) – tramutava altre pene (inclusa quella capitale) in quella più benevola  delle galere, cioè ai remi di una nave.

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2 risposte

  1. angela

    Chiedo perdono per tutto il male che è stato fatto in nome della fede (parolone)secondo me più esaltazione comunque l’articolo molto interessante

  2. Mariolina USA

    Allucinante! Sembra una pagina della storia americana. L’apporto dei domenicani ne accresce l’orrore.
    Grazie, Biagio. Un episodio storico doloroso che non va ignorato . . .

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