Generalmente l’immagine del soggetto raffigurato è identificata con il nome del medesimo (titolo). Può tuttavia succedere che il collezionista si trovi per le mani un’immaginetta sulla quale è invece raffigurato un soggetto la cui identità risulta difficile, se non impossibile da stabilire. In assenza di riferimenti specifici, l’attività di identificazione diventa un’impresa molto complicata. In questi casi, sarà molto utile al collezionista individuare i cosiddetti attributi, ovvero quegli oggetti, animali o ulteriori personaggi che, raffigurati accanto al soggetto “protagonista”, ne consentono l’esatta identificazione. Essi derivano direttamente dalla biografia, o meglio dall’agiografia del personaggio.
Una fonte inesauribile di questi elementi può essere considerata la Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, nella quale sono raccontate le vicende di circa 600 santi. A essa si è ispirata la maggior parte degli artisti dell’antichità, e non solo.
Jacopo da Varagine, nacque intorno al 1230 a Varazze, in Liguria. Non si sa moltissimo della sua biografia. Appartenne all’Ordine dei Predicatori, nel 1267 fu eletto Provinciale per la Lombardia, e poi Definitore. Rifiutò la nomina ad Arcivescovo di Genova, che fu costretto ad accettare a furor di popolo nel 1292. Morì il 14 luglio 1298.
Nonostante il gran numero di “biografie” riportate, va da sé che l’opera presenti un limite naturale costituito dal periodo stesso in cui è vissuto il suo autore. Nella Legenda Aurea potremo leggere dunque la vita di San Lorenzo, di San Cristoforo, di San Donato o di San Pancrazio, per esempio; ma certamente non troveremo quelle di San Francesco di Paola, di Santa Teresa d’Avila o di San Francesco Saverio.
Gli attributi possono essere di due diversi tipi. Si parla di attributo principale quando esso caratterizza in maniera costante il soggetto cui si riferisce, essendo allo stesso connaturato. Si definisce invece secondario l’attributo che l’artista “aggiunge” al fine di rendere più facile l’identificazione.
Può accadere che l’artista non inserisca l’attributo principale, preferendo indicare al suo posto gli attributi secondari, rendendo molto difficile la sua esatta identificazione.
Per agevolare il neofita, riporterò come esempio proprio l’immagine di una santa, nella quale ho eliminato appositamente la parte inferiore dove era riportato il nome della stessa.
Non so in quanti sarebbero in grado di riconoscerla, anche perché di solito è raffigurata con il suo attributo principale: la torre. E qualcuno forse avrà già capito di chi si tratta.
Ma procediamo con ordine.
Innanzitutto gli elementi che ci fanno capire che si tratti di una santa, e non di un ritratto di donna, sono l’aureola e il nimbo. Usati spesso come sinonimi, in realtà si distinguono in quanto l’aureola è la luce che riflette il corpo, o soltanto il capo del santo, mentre il nimbo è il cerchio di luce che circonda il capo dello stesso.
Stabilito, nel caso specifico, che ci si trova di fronte all’immagine di una santa, andiamo ad analizzare gli attributi della stessa che ci consentano di identificarla con esattezza.
La donna è vestita con abito sontuoso (segno che dovesse appartenere a una casta ricca e nobile), porta una corona sulla testa, nelle mani un calice (nella destra) e una spada (nella sinistra).
Sono indizi importanti, ma ancora non del tutto sufficienti a farci individuare esattamente il personaggio, non fosse altro per il fatto che essi non sono attributi esclusivi, bensì comuni ad altri soggetti. Non solo. Anche il significato dell’attributo potrebbe indurci facilmente in errore. Per esempio, la corona potrebbe far pensare a una regina (com’è noto sono molte le sante che in vita ebbero tale titolo). In realtà, in questo caso, essa è la corona trionfale, attributo del martirio.
Abbiamo aggiunto un altro dato: si tratta di una santa martire.
Una considerazione potrebbe essere quella secondo cui l’attributo che più di ogni altro sta a indicare il martirio è la palma, mentre come accennato la corona è tipica dei santi/sante che furono sovrani. Il che è vero. Ma è importante che il collezionista non trascuri alcun dato, anche quello più inconsueto.
Osservando il nostro personaggio, notiamo che nella mano sinistra regge una spada, ma non dall’impugnatura. Ciò fa pensare che l’arma sia stata strumento di morte per la santa.
Ultimo elemento: il calice. Attributo molto particolare, sta a simboleggiare l’Eucaristia e dunque Gesù Cristo. In mano a una santa fa pensare al “calvario” patito dalla medesima in nome di Cristo.
A questo punto il cerchio si chiude, ma ogni tentativo di identificare con esattezza il soggetto raffigurato resterebbe vano, se il collezionista non fosse a conoscenza delle “vite dei santi”, o quantomeno non avesse gli strumenti per conoscerle. Ecco che la menzionata Legenda Aurea di Jacopo da Varagine si rivela utile, avendo la certezza che si tratti di una martire.
Apprendiamo dunque che la santa in questione è Santa Barbara. Jacopo da Varagine ce la presenta come una donna giovane e bellissima, figlia di un pagano di nome Dioscuro, nobile e ricchissimo. Barbara, in contrasto con le sue origini, amava Gesù Cristo e si rifiutava di adorare gli dèi pagani. Il padre l’aveva rinchiusa in una torre, ma il motivo è poco chiaro. Certo è che quando questi apprese che la figlia si era convertita al cristianesimo la denunciò, consegnandola al proconsole Marciano, il quale la fece denudare e torturare, fino a condannarla alla decapitazione. Fu il padre stesso a decapitarla.
L’immaginetta in questione è un’incisione su carta goffrata, dipinta a mano, con applicazioni di dorature. Joseph e Leopold Koppe Editori, Praga, metà XIX secolo circa.
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Cenni storici
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Come si legge un’immaginetta
La datazione delle immaginette
La preghiera
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