Canivet, sec. XVIII. Coll. Lo Cicero.
Canivet, sec. XVIII. Coll. Lo Cicero.

Iconografia religiosa in piccolo formato

L’iconografia religiosa è quel ramo della storia dell’arte che studia le immagini, il cui soggetto è costituito da una figura religiosa. Nel caso specifico, le immagini sono rappresentate in rettangoli di carta o di pergamena, le cui dimensioni sono piuttosto contenute, sicuramente molto più ridotte rispetto ai dipinti e alle incisioni classiche.

Tradizionalmente, questa forma d’arte è stata definita, a torto, come “arte minore”. La locuzione – che sta a indicare tutte quelle attività che, seppur “artistiche”, hanno una valenza riduttiva se paragonate alla pittura, all’architettura e alla scultura (definite “arti maggiori”) – nel caso specifico delle immaginette religiose è assolutamente inidonea. Sembra che tale contrapposizione terminologica sia nata nel corso del XVI secolo e che il suo significato non debba essere visto tanto in relazione al grado di importanza, quanto nella natura stessa dell’oggetto realizzato dall’artista. L’arte minore sarebbe caratterizzata dalla strumentalità dell’oggetto, mentre l’arte maggiore sarebbe genuinamente “inutile” sotto l’aspetto strettamente pratico. Per fare un esempio, la tessitura e il ricamo sarebbero delle arti minori (meglio dovremmo dire artigianato); un dipinto su olio o una statua di bronzo sono invece arte maggiore: le prime, oltre che per le qualità estetiche, si presentano anche come oggetti utili; le seconde possono essere soltanto ammirate.
Ma se così fosse, c’è da chiedersi a cosa serve, se non a essere contemplata e meditata, un’immagine di un santo, di Gesù o della Madonna rappresentata in una miniatura di cm 6,5 x 9, o un
canivet di pari dimensioni o più grande; quale utilità potrà mai avere un’immaginetta devozionale incisa a bulino o all’acquaforte da un incisore fiammingo, da uno asburgico o da un praghese, se non quella di essere attaccata al muro della camera di un’abitazione perché il santo raffigurato ne protegga gli occupanti? E quelle immaginette a composizione multipla, con parti mobili – che piacciano o meno – a cosa servivano/servono se non a guardarle e ammirarle?

A dire il vero, già verso la metà del Cinquecento Giorgio Vasari (1511-1574), nel proemio delle Vite considerava, fra le altre, il niello e le stampe di rame delle varietà della pittura. Poco dopo, il Dolce (1616-1686) sosteneva che gli intagliatori (cioè gli incisori), allo stesso modo degli architetti, degli orefici, dei ricamatori e altri, formavano la loro arte manuale dal disegno, e dunque dalla pittura. Nel caso specifico, «le incisioni, ad esempio, sin dalla loro comparsa sono sempre state per gli artisti un’importante fonte visiva» (R. Van Straten, Introduzione all’Iconografia, Jaca Book, pag. 24).

La filiconia

Nonostante le immaginette religiose, come vedremo, possano vantare una gloriosa storia, caratterizzata da veri e propri artisti, alcuni importanti e di grande talento, altri più modesti, soltanto da pochi anni studiosi e cultori hanno dato loro il rilievo che meritano. Tale scoperta, o riscoperta, si deve ai sempre più numerosi collezionisti che dimostrando la loro passione hanno fatto nascere l’interesse per queste piccole opere d’arte, oltre che a studiosi anche, com’era prevedibile, ai venditori. Quest’ultimi, se da un lato hanno fatto lievitare i prezzi in pochissimi anni, dall’altro hanno consentito ai tanti appassionati di venire in possesso di materiale altrimenti difficilissimo da reperire.

Va detto che l’esplosione improvvisa dell’interesse per le immaginette religiose, soprattutto nella fase iniziale – stiamo parlando dei primi anni 80 del secolo scorso – ha creato un vero e proprio caos, in particolare nell’ambito del mercato. La scarsa conoscenza per la materia ha indotto molti venditori a offrire, ad esempio, immaginette degli anni 30-40 del Novecento stampate in fotomeccanica a prezzi esagerati, “spacciandoli” come produzioni antiche, scambiando volutamente o ingenuamente la data dell’imprimatur per quella di produzione; oppure proponendo dei semplici santini fustellati come se fossero dei canivets meccanici.

Il neofita avrà già cominciato a domandarsi del significato di termini come imprimatur, “fustellati” e “canivets”. Per un veloce chiarimento, rimando alla sezione Dizionario di Filiconia del sito. Di essi tratterò approfonditamente nei capitoli sucessivi. Per il momento mi preme sottolineare quanto sia importante, per il collezionista, disporre di un dizionario tecnico con termini universalmente accettati dalla comunità internazionale dei collezionisti. Il problema ovviamente non è riferito a quei termini il cui significato è storicamente fissato: canivet per dirne uno sta a identificare una determinata tipologia di manufatto, sin dalla sua apparizione. Diverso è invece il discorso per quanto concerne tutta quella terminologia che riguarda il collezionismo in senso stretto.

A questo proposito, il primo problema è stato quello di una definizione dell’ambito collezionistico relativo all’iconografia religiosa di piccolo formato. Essendo nato da pochi decenni, il collezionismo delle immaginette religiose non ha ancora avuto modo di esprimersi in maniera organica. Innanzitutto, con quale termine si definisce il collezionismo delle immaginette religiose? Qualche anno fa, Attilio Gardini, insegnante di Forlì, appassionato di immaginette religiose, ha coniato il neologismo filiconia.

Non si sa se il termine avrà fortuna – è ancora troppo presto per dirlo – ma sembra che ben si adatti a descrivere questo settore del collezionismo cartaceo. Deriva dal greco filos (amico, amante) ed eikon (immagine), dunque amore, “passione per le immagini”. Anche se oggetto della nostra passione sono un certo tipo di immagini. Si tratta infatti di immagini di piccolo formato, le cui figure sono rappresentate da uno o più soggetti religiosi.

Adolf Spamer e Dolores Sella

Nel 1930, Adolf Spamer (Mainz 1883 – Dresda 1953), il più grande studioso in materia, pubblicò l’opera Das kleine Andachtsbild vom XIV bis zum XX Jahrhundert, che  ripercorre la storia dell’immaginetta devozionale, dalle origini agli inizi del Novecento, attraverso le diverse tipologie di produzione, gli incisori e gli editori europei. Spamer definisce tale tipo di produzione come das kleine Andachtsbild, la cui traduzione in italiano è letteralmente “la piccola immagine devozionale”, chiarendo pertanto già nel titolo di cosa si tratta nello specifico.

Restando in Italia, non si può ignorare un libro fondamentale per chi ha voglia di conoscere la produzione europea delle immaginette religiose. Mi riferisco a Santini e immagini devozionali in Europa, pubblicato nel 1997 da Dolores Sella (Arona 1918 – Lucca 2006) per la casa editrice Pacini Fazzi di Lucca. La studiosa – pittrice e incisore ella stessa – tratteggia la storia della produzione delle immaginette religiose dal XVI al XX secolo, attraverso le tecniche, gli stili, gli editori e gli incisori.

Non privi di alcune lacune e imprecisioni (purtroppo ovvie, considerato il vastissimo campo di indagine) possono essere considerati i due punti di riferimento massimi per il collezionista.

Lo studio attento e l’analisi della materia, ci permette di fare una premessa importante: non tutto ciò che raffigura un soggetto religioso sopra un pezzo di carta può definirsi immaginetta.

Definizioni dell’immaginetta

Chiarito quindi che oggetto del nostro interesse non sono le “immagini” religiose in generale, ma le immaginette in senso specifico, va aggiunta una considerazione. Sono diversi i modi con cui esse vengono definite: da immaginette sacre a santini, da immaginette devozionali a figurine dei santi; da immaginette religiose a immaginette tout court. Se per la maggior parte delle persone non rappresenta un problema, lo è invece per i collezionisti. Il modo più diffuso è senz’altro quello di immaginette sacre.

Incisione a bulino su pergamena. Gaspar Grispoldi, Venezia, inizi XVII sec. Coll. Gamba
Incisione a bulino su pergamena. Gaspar Grispoldi, Venezia, inizi XVII sec. Coll. Gamba

Tale definizione risulta alquanto impropria. Quel piccolo rettangolo di carta, che tanto ci appassiona, in realtà di sacro ha ben poco. Sacro è infatti ciò che appartiene alla fede, nel caso in specie, a quella cristiano-cattolica, quindi ciò che appartiene a Cristo e ai suoi santi. Sacra è senza dubbio l’immagine rappresentata sulla carta, ma non il pezzo di carta, su cui essa è raffigurata. La carta rappresenta il contenitore (o supporto), mentre l’immagine raffigurata il contenuto. Ora, mentre il fedele rivolge tutta la sua attenzione principalmente al contenuto, il collezionista la rivolge al contenitore. L’interesse del collezionista in senso stretto non ha nulla di mistico o di spirituale: si può essere collezionisti di immaginette e al tempo stesso non credenti. Il collezionista si esalta dinanzi a un pezzo raro della sua collezione, soffre nel vedere un bel canivet rovinato. E ciò, a prescindere dall’immagine ivi rappresentata.

Essere collezionisti non vuol dire necessariamente essere anche credenti. Che poi il collezionista sia anche credente, non toglie che egli sia attratto principalmente dalla forma esteriore, dalla tecnica di stampa, dagli elementi artistici, storici e culturali dell’immaginetta, piuttosto che dai sentimenti che possa evocare ogni soggetto in essa raffigurato. Si pensi, in proposito, a quanti soggetti sono stati nei secoli rappresentati: santi, sante, Gesù, la Madonna; ai quali si aggiungono le rappresentazioni simboliche, come oggetti, fiori, animali o semplicemente frasi; o ancora, si pensi alle immaginette ricordino, della comunione, cresima, ai luttini. Certo, si può essere particolarmente devoti verso un santo o più di uno, ma non di tutti quelli che di solito la maggior parte dei collezionisti possiede nella propria collezione. Peraltro, come già accennato, anche la Chiesa, a partire dal Concilio di Trento, aveva già chiarito che il rispetto per le immagini di Cristo, della Madonna e dei Santi, non deriva dal fatto che si creda che in esse si trovi in qualche modo la divinità o la virtù, ma l’onore che si mostra a esse, è riferito al prototipo, all’originale che quelle immagini rappresentano.

Santini e immaginette devozionali

EGIM
Santino popolare, edito da ED.G.MI, Milano, anni 40.

Altro termine con cui comunemente vengono chiamate le immaginette, è quello di santini. Utilizzato, pare, già verso la prima metà del XVIII secolo, ancora oggi è senz’altro appropriato sotto il profilo della religiosità, con un significato dunque più antropologico, che estetico-formale e, quindi, non perfettamente idoneo a indicare l’oggetto di collezionismo. Peraltro, sotto il profilo strettamente collezionistico, va detto che il santino ha delle precise caratteristiche, che lo distinguono rispetto al resto della produzione di cui stiamo trattando. Com’è già stato autorevolmente chiarito, oggi si usano, in modo errato, indifferentemente i termini di santino e di immaginetta devozionale. È opportuno ribadire che «il santino vero e proprio è quello del formato sopraindicato (cm. 11 x 7 circa) o poco più grande, stampato o eseguito manualmente per essere posto fra le pagine del libro di preghiere, del Messale, del Breviario. Invece l’immaginetta devozionale è quasi sempre di formato un po’ più grande, solitamente eseguita a mano con le tecniche più varie e denuncia la sua funzione di quadretto per l’angolo della preghiera nella cella monacale e testimonia del proprio essere cristiani nell’altarino familiare tanto in uso nel passato» (Dolores Sella).

Secondo altri, il termine santino starebbe invece a indicare esclusivamente «beati e santi e non includono le innumerevoli piccole rappresentazioni mariane e cristologiche, che rientrano nel termine più ampio, usato da molti anni, di immaginette sacre». (Attilio Gardini).

Personalmente, non condivido quest’ultima definizione, essendo del tutto concorde con la distinzione sopra riportata, fra santini e immaginette devozionali, operata dalla Sella e da altri studiosi. In ambito collezionistico, sono stati fissati dei parametri, individuando specifiche misure per il santino (cm. 7 x 11 circa) e per l’immaginetta devozionale (cm. 9,5 x 15,5), definendone altresì la diversa funzione. Il santino è fatto per stare a contatto fisico con il devoto, che lo porta nella tasca interna della giacca (a contatto con il cuore) o nel portafogli, per avere un rapporto più diretto, quasi personale con il santo raffigurato; oppure da utilizzare come segnalibro, in volumi di testi sacri, ma anche semplicemente in libri non necessariamente di preghiere. L’immaginetta devozionale, per le sue dimensioni più grandi o per la preziosità della tecnica con cui è stata realizzata, non si presta al contatto continuo, ma ha come funzione specifica quella di proteggere l’intera famiglia, la casa dove si vive, la stalla dove alloggiano gli animali, che servono al sostentamento di tutti; perciò trova posto sul comodino, vicino al letto, oppure appesa sulla parete, nella stanza da letto, in cucina o nella stalla.


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