Una difficoltà molto seria che si pone davanti al collezionista filiconico è senza dubbio quella di riuscire a stabilire una data più o meno attendibile della stampa di un’immaginetta. A differenza di altri oggetti di collezionismo, che portano la data di produzione sopra indicata, o comunque è facilmente rilevabile da fonti indirette, nel caso specifico delle immaginette religiose, risulta davvero un’operazione difficile, in alcuni casi persino impossibile.
Se escludiamo alcuni rari casi, in cui l’editore ha stampato l’anno di produzione – per esempio, le cromolitografie della A. & M.B., parte della produzione della Società Litoleografica S. Giuseppe di Modena, della Tipografia Immacolata Concezione di Modena, dei Fratelli Bertola di Piacenza, o alcune cromolitografie firmate Bertarelli) -, la maggior parte delle immaginette realizzate non porta segnato l’anno di produzione.
Perché?
La spiegazione è molto semplice: le immaginette religiose erano (sono) destinate ai devoti e non ai collezionisti. E ai primi non importa sapere se una cromolitografia è del 1890 o del 1910. L’immagine di Gesù, della Madonna o di un santo è eterna, come non soggetta a “periodi di validità” è la venerazione del fedele per il soggetto raffigurato. Quello della data è dunque un problema esclusivo del collezionista.
Quale metodo può essere utilizzato per datare l’immaginetta?
Facciamo una premessa. In assenza dell’indicazione dell’anno preciso stampato sull’immaginetta, soltanto l’esperienza del collezionista, unita alla conoscenza storica e artistica dei pezzi, può aiutare a individuare, se non l’anno esatto, almeno il periodo di produzione, inteso come arco temporale, più o meno ristretto, durante il quale l’immaginetta sia stata stampata.
Detto ciò, di seguito saranno indicati alcuni criteri, che possono aiutare il collezionista inesperto a individuare il periodo di produzione del pezzo.
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il materiale di produzione, utilizzato dagli editori o dal produttore in un dato periodo storico (pergamena, carta sottile, cartoncino, cartariso, lamella di legno, tessuti vari);
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lo stile (barocco, raffaellita, kitch, liberty, etc.) e il livello di diffusione;
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la tecnica di stampa (xilografia, acquaforte, bulino, litografia, inchiostro di seppia, offset, etc.);
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il nome della casa editrice e/o dell’incisore (Galle, Callot, Bouasse-Lebel, Koppe, Santa Lega Eucaristica, etc.);
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eventuale data scritta a mano sull’immaginetta, o altri scritti.
A questi, importanti ma per nulla tassativi ed esaustivi, si aggiungono tanti altri elementi. §
Degli esempi, potranno forse chiarire meglio i concetti finora esposti. Lo stile liberty, per esempio, è noto che si sviluppò fra la fine del XIX e i primi decenni del XX; l‘art decò e il pochoir del Meschini si diffonde fra gli anni 20 e 30 del Novecento; la maggiore diffusione dei santini stampati a bromuro avviene negli anni Trenta; in alcuni casi, la data di stampa corrisponde a quella ufficiale in cui è stata concessa un’indulgenza del Papa, o comunque non potrà essere certamente anteriore all’evento. Importante è anche conoscere la biografia e/o l’agiografia dei soggetti raffigurati e la loro canonizzazione: non è possibile trovare un santino di fine Ottocento con su raffigurato Padre Pio, giusto per fare un esempio esagerato.
Vi è poi un altro elemento che merita di essere trattato in maniera più approfondita: l’imprimatur.
Il termine latino significa, letteralmente, “si stampi” e consiste nell’autorizzazione concessa dall’Ordinario, dal Superiore Maggiore di un Ordine o di una Congregazione, prescritta dal vecchio Codice di Diritto Canonico, ora abolito, in virtù della quale le immagini sacre, e ancor più importante, le preghiere, potevano essere stampate.
Molti confondono la data dell’imprimatur con l’anno di produzione. Nulla di più errato. L’imprimatur, che si trova sul margine inferiore del verso non è altro che l’atto giuridico-amministrativo con il quale la Chiesa, fino al 1983 (anno in cui tale prescrizione è stata abolita), permetteva la stampa della preghiera soprattutto e la circolazione delle immagini religiose. In pratica, chiunque in passato, editore o tipografo che fosse, volesse stampare o diffondere una preghiera o determinata immagine a carattere religioso, era tenuto a chiedere e ottenere dall’autorità ecclesiastica l’autorizzazione o l’approvazione. Le immagini stampate in difformità con tali norme, quindi prive di autorizzazione, erano da considerarsi proibite. In effetti, se si pensa alla grande speculazione che da sempre ha riguardato questo “prodotto”, si può certamente comprendere la preoccupazione della Chiesa a controllare non solo l’ortodossia dell’immagine in sé, quanto e soprattutto il testo delle preghiere pubblicate sul verso.
In alcuni casi, al posto della classica formula imprimatur, seguita da luogo, nome dell’Autorità ecclesiastica e data del provvedimento, si può trovare la dicitura con approvazione ecclesiastica (anche nella versione latina cum appr. eccl.) o con licenza dei superiori, o ancora con permissione dei superiori.
Vi sono poi immaginette prive di qualsiasi formula autorizzativa sopra stampata o che, al posto dell’imprimatur portano il nome dell’emporio che le commerciava; altre portano la dicitura proprietà riservata. Non bisogna pensare che queste siano proibite dalla Santa Sede. Oggi, per la Chiesa, ciò che rende valida un’immagine sacra non è la formula stampata dell’imprimatur, elemento meramente formale che nulla aggiunge o toglie alla sostanza dell’immagine, quanto la sua conformità ai dettami della fede (soprattutto se provvista di preghiera) e, particolarmente dal punto di vista figurativo, il suo rispetto delle norme di buon costume, affinché possa essere stampata e liberamente circolante. Non a caso, nel nuovo Codice di Diritto Canonico di Giovanni Paolo II, la prescrizione è caduta, pur restando la norma che “sorveglia” in materia di venerazione delle immagini.
Definizioni
Cenni storici
Collezione o raccolta
Soggetti e attributi
Come si legge un’immaginetta
La preghiera
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